Logistica made in China e dumping sociale

Se ne sono occupati per pochi giorni i media locali ma, per lo più, è noto solo agli operatori del settore e alle parti sociali interessate dall’operazione complessiva della Piattaforma Maersk.

La Cina è arrivata a Vado…entrando dalla porta principale.

Cosco è il terzo armatore mondiale e la società cinese che ha acquistato da poco tempo il 40% del nuovo terminal container del Porto di Savona – Vado. E’ una società di Stato nata dalla fusione delle due più grandi compagnie di logistica e shipping della Cina, la Cosco appunto e la China Shipping. Il tutto sotto il marchio Cosco.

Quella che apparentemente è una normale operazione di acquisizione societaria è in realtà un tassello molto importante della sempre più grande influenza che la Cina sta assumendo nel mondo dello shipping e della logistica portuale.

Vado Ligure rappresenterà quindi la porta europea del mediterraneo per il mercato cinese che già controlla interamente il porto greco del Pireo in un continente dove un altra grande società cinese, la China Investment Corporation, ha acquistato a luglio dal fondo d’investimenti americano Blackstone per 12,25 miliardi di euro circa 13,6 milioni di metri quadri di magazzini per la logistica allocati in Europa.

Così scrive l’Economist in un articolo del 17 luglio: “Il controllo delle linee commerciali aiuterà la Cina in temi di conflitti e di dispute. Il possesso di porti all’estero renderà più facile per la Marina della Repubblica Popolare dare seguito alle sue ambizioni di potersi muovere liberamente lontano dal proprio territorio“.

Navi porta container sempre più imponenti, prezzi della logistica sempre più bassi e concentrazione della stessa in mano a pochi grandi gruppi mondiali. Questa è la realtà in cui la nostra economia del mare e della logistica oggi si muove.

E il rischio è dietro l’angolo. Spetta al nostro territorio, a Savona,  lavorare affinchè non si ripeta quanto è avvenuto ad esempio nel mondo del trasporto su gomma: la terribile concorrenza di paesi low coast (in quel caso paesi dell’Est Europeo) secondo quel fenomeno definito “dumping sociale” che qui, su servizi e logistica portuale e retroportuale, va assolutamente scongiurato.